Con la circolare 12/E del 24 marzo 2015 l’Agenzia delle Entrate raccoglie le regole dettate nel corso degli anni sull’istituto del deposito IVA, esaminandolo alla luce delle connessioni con i depositi doganali e, soprattutto, della recente sentenza della Corte di Giustizia europea del 17 luglio 2014, causa C-272/13. In particolare, la circolare traccia un identikit dei beni depositabili, delle operazioni agevolate, così come delle modalità d’ingresso ed estrazione dei beni dal deposito, anche nel caso di commercializzazione in Italia, e il calcolo dell’imponibile “sensibile” ai cali merce. Si ricorda che i depositi Iva sono luoghi al cui interno la merce entra, staziona poi viene estratta. Fiscalmente, essi consentono di assolvere l’imposta per determinate operazioni, se dovuta, da parte dell’acquirente finale, solo al momento dell’estrazione dei beni, con il meccanismo dell’inversione contabile o “reverse charge” (articolo 50-bis del Dl 331/1993). Rientrano tra i depositi Iva anche quelli già autorizzati dall’autorità doganale (es. i magazzini generali, i depositi franchi e i punti franchi gestiti dalle imprese autorizzate, i depositi fiscali per i prodotti soggetti ad accisa, i depositi doganali, compresi quelli per la custodia e la lavorazione di lane). La circolare, alla luce dell’interpretazione della Corte di Giustizia europea fornita con la soprarichiamata sentenza, ammette per la prima volta la possibilità di utilizzo del deposito IVA in forma “virtuale” (ossia senza passaggio materiale delle merci per i locali di deposito, tramite semplice presa in carico delle merci nella relativa contabilità di deposito), ma limitatamente ad una ipotesi: è cioè per i beni “fuori magazzino” che devono essere lavorati. In tutti gli altri casi, la merce deve entrare fisicamente nel deposito per beneficiare della disciplina agevolata. In base alle novità introdotte dal Dl 179/2012, infatti, il regime di deposito Iva, cioè il differimento del pagamento dell’imposta all’atto di estrazione dei beni, vale anche nel caso in cui le merci siano custodite in spazi limitrofi al magazzino per poter subire delle lavorazioni. La circolare precisa anche che i beni, una volta lavorati, non devono essere necessariamente introdotti nel deposito, purché la relativa movimentazione sia registrata. Si considerano così soddisfatte, infatti, le funzioni di stoccaggio e custodia da parte del depositario.
La circolare precisa altresì che in un’ottica di semplificazione, nel caso di beni estratti dal deposito per essere commercializzati in Italia, se l’acquisto delle merci e la loro uscita dal magazzino avviene nello stesso giorno, queste due operazioni possono essere ricomprese in un’unica fattura riepilogativa giornaliera. Infine la circolare chiarisce che se l’estrazione del bene in deposito avviene per la commercializzazione in Italia, in linea di principio l’imponibile è dato dal corrispettivo – oppure, se manca, dal valore dell’operazione – non soggetto a Iva in conseguenza dell’introduzione nel deposito. Nel caso in cui i beni, durante il periodo di giacenza, siano stati oggetto di più cessioni, la base su cui determinare l’Iva è determinata dal corrispettivo o dal valore dell’ultima transazione. Inoltre, il documento di prassi precisa che se la merce subisce dei cali fisici e tecnici in fase di stoccaggio, la base imponibile all’estrazione del bene va determinata al netto del valore del calo. Il concetto di calo è infatti ricondotto a quello dei beni distrutti, dal momento che avviene per cause naturali e indipendenti dalla volontà del soggetto Iva. In altre parole, nel calcolo dell’imponibile il contribuente può riferirsi alle quantità effettivamente estratte dal deposito, a patto che siano calcolate su basi oggettive e riscontrabili.
In ultimo, un cenno viene fatto anche alla sentenza della Corte di Giustizia europea del 17 luglio 2014, causa C-272/13 in relazione all’introduzione fisica delle merci nel deposito Iva. Secondo la Corte l’obbligo di introduzione fisica della merce importata nel deposito Iva può essere previsto dalla normativa nazionale Iva, in quanto costituisce atto idoneo a garantire la riscossione dell’imposta. Per quanto riguarda le sanzioni invece, secondo la Corte, in assenza di frode, la violazione dell’obbligo di introduzione fisica dei beni nel deposito Iva e il pagamento dell’imposta attraverso il reverse charge all’atto dell’estrazione, costituiscono un’infrazione formale, che si esplica in un tardivo versamento dell’Iva.
La Circolare dell’ Agenzia Dogane è disponibile al seguente link