di Antonio Vastarelli per il Sole 24 ore sud del 26 gennaio 2011 – preleva articolo in formato pdf
Più che una crisi, una pausa di riflessione. Dal diluvio di segni meno che travolge l’economia italiana, i doganalisti escono senza troppi acciacchi grazie all’Arca di Noe dell’export che, tornata a navigare, ha impedito il blocco di un comparto che nel2011 viene messo alla prova da alcune innovazioni normative ma che continua a fare i conti con arretratezze strutturali e procedure che rendono ancora poco competitivo il sistema di servizi a supporto del trasporto merci da e verso l’Italia. Soprattutto quello che interessa i porti del Mezzogiorno che sono penalizzati “dal dissesto del territorio e dall’inesistenza della pubblica amministrazione”. L’analisi secca e impietosa arriva da Giovanni De Mari, napoletano, presidente nazionale del consiglio dell’ordine degli spedizionieri doganali che conta quasi 2.300 iscritti all’albo. Professionisti che operano individualmente o in forma associata e che – fornendo assistenza e consulenza alle imprese nei rapporti con l ‘amministrazione per fisco, sanità pubblica e sicurezza generale dei prodotti e delle persone – animano un comparto che impiega circa 10 mila lavoratori.
Presidente De Mari, quali sono stati gli effetti della crisi economica sull’attività dei doganalisti?
Nel 2oo8 non ne abbiamo risentito perché abbiamo semplicemente evaso gli ordini in corso. Una leggera stasi l’abbiamo avvertita a 2009 inoltrato, ma è durata poco perché è stata subito attenuata dagli arrivi per il Natale, in particolare per quanto riguarda i prodotti alimentari. E, nel 2010, a sostenere gli ordini è arrivata la ripresa delle esportazioni, che ancora tengono. Ma anche una rinnovata vitalità dell’import, soprattutto di prodotti di elevata qualità piu che di grandi quantità. Nel complesso possiamo dire che dall’inizio della crisi c’è stata una flessione degli affari ma molto limitata rispetto a quanto accaduto in altri settori con i quali condividiamo, invece, le difficoltà derivanti dalla mancanza di liquidità: la scarsa circolazionedi denaro ha determinato, infatti, un allungamento dei tempi di pagamento anche per noi.
E nel Mezzogiorno com’è andata?
l dati di crescita sono più o meno in linea con la media. Il problema, però. è che il Sud sta all’ ltalia come l’ltalia all’Europa. L’intero sistema nazionale, infatti, soffre di problemi strutturali che lo rendono lento,quindi poco competitivo rispetto a quello di altri paesi europei. E a Napoli e nel Meridione queste carenze sono ingigantite dal dissesto del territorio e dall’inesistenza di una pubblica amministrazione efficiente. Per non parlare dei servizi.
Parliamone invece.
Se fermano una merce nel porto di Napoli per controlli sanitari i campioni vengono mandati fuori regione, in Veneto piuttosto che a Torino, perché l’ istituto zooprofilattico di Portici e l’Arpac non sono abilitati a fare analisi di laboratorio. Anche questa è una conseguenza dello sfascio della sanità della quale non si parla perché non riguarda persone ma oggetti. Tutto questo, però, danneggia l’economia percbé rallenta lo sdoganamento della merce. È giusto fare i controlli ma ci vogliono servizi di supporto sul territorio che consentano di effettuarli velocemente.
La favorevole posizione geografica dei porti meridionali non compensa le carenze strutturali?
No, perché la posizione geografica non conta come in passato. Oggi le merci sono attratte da chi riesce a fornire servizi meno costosi e, soprattutto, più veloci. Altrimenti non si spiegherebbe come mai alcuni prodotti destinati al mercato italiano vengano sdoganati in porti del Nord-Europa.
E non risulta attrattiva nemmeno la p0litica di integrazione tra porti e interporti che, ad esempio, si è cercato di portare avanti in Campania?
L’interporro di Marcianise funziona poco, quello di Nola va meglio. Entrambi potrebbero essere delle ottime retrobanchine per il porto di Napoli ma solo a condizione che le merci anivino direttamente nell’interporto per poi essere smistate. Bisognerebbe, inoltre, modificare anche le norme che regolano i controlli, per evitare che vengano fatti due volte, ma anche per chiarire se, ad esempio, la responsabilità sulla qualità della merce nel tragitto dal porto all’interpono sia dei vettori o degli spedizionieri.
Gli esperimenti fatti non hanno funzionato proprio perché costruiti male tecnicamente, con una moltiplicazione di passaggi che allungano ancor di più i tempi di sdoganamcnto della merce.
Le dogane italiane, quindi, sono troppo lente?
La colpa non è della dogana ma dell’intero sistema Paese. I controlli sulle merci vanno fatti. Ma in Italia se ne occupano 18 organi diversi, sarebbe auspicabile almeno un coordinamento per accelerare i tempi. È quello che speriamo possa realizzarsi con lo Sportello unico doganale.
Di cosa si tratta?
Della possibilità di introdurre due meccanismi che velocizzano le operazioni di sdoganamento: il single window, cioè la centralizzazione della raccolta e dell’invio telematico, e non più su carta, delle informazioni a tutti gli enti interessati per legge (che dovrebbe andare a regime entro 36 mesi), e il one stop shop, cioè un luogo e un momento unico in cui poter effettuare contemporaneamente tutti i controlli, basato sul pre-clearing, lo sdoganamento anticipato che prevede uno scambio di informazioni precedente all’arrivo della nave. Sarebbe opportuno accelerare sull’utilizzo di quest’ultimo strumento, che è già stato sperimentato con successo nei porti di Napoli e La Spezia.
Dal primo gennaio, inoltre, stiamo applicando le nuove norme sulla sicurezza, con finalità anti-terrorismo, che comportano un aumento del numero di informazioni che le dogane di partenza devono specificare sulla merce. Nuove proccdure che non hanno mandato in tilt le operazioni di sdoganarnento, come temeva qualcuno: noi doganalisti eravamo già pronti da mesi e, se si esclude qualche incomprensibile rallentamento, pare che stia procedendo tutto bene.