Con Risoluzione 25 marzo 2013 N. 19/E l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in merito alla prova dell’avvenuta cessione intracomunitaria con particolare riguardo alla clausola c.d. “franco fabbrica” di cui all’articolo 41 del D.L. n. 331/1993.
In particolare è stato chiesto all’Agenzia delle Entrate di conoscere la corretta interpretazione dell’art. 41 D.L. 331 del 1993, con riferimento alla documentazione idonea al fine di provare l’avvenuto trasporto dei beni in altro paese comunitario e, in particolare, con riferimento alla possibilità di produrre prove alternative al documento di trasporto cartaceo denominato CMR. Il parere dell’Agenzia è che la Direttiva 2006/112/CE non predetermina la forma e la tipologia della prova atta a dimostrare che si è realizzato il trasporto nel territorio di un altro Stato Membro, lasciando invece che siano gli Stati membri a definire ciò, nel momento in cui fissano le condizioni e i requisiti per l’applicazione del regime di non imponibilità, nel rispetto dei principi fondamentali del diritto comunitario, quali la neutralità dell’imposta, la certezza del diritto e la proporzionalità delle misura adottate (vengono richiamate in proposito le sentenze della Corte di Giustizia del 27 settembre 2007 in causa C-146/05, punti da 24 a 26 e in causa C-184/05, punti da 25 a 27).
Secondo l’orientamento della Corte di Giustizia UE, è necessario che “il diritto di disporre del bene come proprietario sia stato trasmesso all’acquirente e che il fornitore abbia provato che tale bene sia stato spedito o trasportato in un altro Stato membro e che, in seguito a tale spedizione o trasporto, esso abbia lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di cessione” (sentenza in causa C- 409/04, punto 42).
I giudici comunitari precisano, altresì, che spetta al fornitore dei beni dimostrare la sussistenza dei requisiti richiesti, in quanto l’onere della prova del diritto di fruire di una deroga o di un’esenzione fiscale (nel caso di specie del diritto alla non imponibilità IVA della cessione) grava su colui che chiede di fruire del siffatto diritto (sentenza 27/09/2007 causa C- 409/04, Teleos e, da ultimo, sentenza 06/09/2012 causa C- 273/11, Mecsek-Gabona).
E’ invece di competenza degli Stati membri stabilire quali siano i mezzi di prova idonei a dimostrare l’effettiva sussistenza di una cessione comunitaria, nel rispetto dei principi di neutralità dell’imposta, certezza del diritto e proporzionalità delle misure adottate.
La legge italiana non contiene tuttavia alcuna specifica previsione in merito ai documenti che il cedente deve conservare, ed eventualmente esibire in caso di controllo, per provare l’avvenuto trasferimento del bene in un altro Stato comunitario. Alcuni chiarimenti sono stati forniti in proposito dalle già richiamate risoluzioni n. 345/E del 28 novembre 2007 e n. 477/E del 15 dicembre 2008.
La risoluzione n. 345 del 2007 individua, quale prova idonea a dimostrare l’uscita delle merci dal territorio dello Stato, il documento di trasporto e sancisce inoltre l’obbligo per il cedente di conservare, oltre agli elenchi Intrastat e alle fatture, la documentazione bancaria dalla quale risulti traccia delle somme riscosse in relazione alle cessioni intracomunitarie effettuate e la copia di tutti gli altri documenti attestanti gli impegni contrattuali che hanno dato origine alla cessione ed al trasporto dei beni in un altro Stato membro.
La successiva risoluzione n. 477 del 2008, nell’affrontare lo specifico caso relativo alle cessioni franco fabbrica, nelle quali “il cedente nazionale si limita a consegnare i beni al vettore incaricato dal cliente e molto difficilmente riesce ad ottenere da quest’ultimo una copia del documento di trasporto controfirmata dal destinatario per ricevuta”, chiarisce che il riferimento al predetto documento, contenuto nella risoluzione n. 345 del 2007, è stato effettuato a titolo meramente esemplificativo.
Ne consegue che “nei casi in cui il cedente nazionale non abbia provveduto direttamente al trasporto delle merci e non sia in grado di esibire il predetto documento di trasporto, la prova di cui sopra potrà essere fornita con qualsiasi altro documento idoneo a dimostrare che le merci sono state inviate in altro Stato membro“.
Pertanto, alla luce dell’evoluzione della prassi commerciale, l’Agenzia ritiene che il CMR elettronico, avente il medesimo contenuto di quello cartaceo, costituisca un mezzo di prova idoneo a dimostrare l’uscita della merce dal territorio nazionale.
Analogamente, l’Agenzia concorda con la tesi dell’istante secondo cui costituisce un mezzo di prova equivalente al CMR cartaceo, un insieme di documenti dal quale si possano ricavare le medesime informazioni presenti nello stesso e le firme dei soggetti coinvolti (cedente, vettore e cessionario).
Tra questi, risulta ammissibile anche l’utilizzo delle informazioni tratte dal sistema informatico del vettore, da cui risulta che la merce ha lasciato il territorio dello Stato ed ha altresì raggiunto il territorio di un altro Stato membro.
In proposito, tuttavia, occorre precisare quanto segue. I documenti in questione (CMR in formato elettronico ovvero informazioni tratte dal sistema informatico del vettore), come precisato dall’istante tramite documentazione integrativa spontanea, non hanno le caratteristiche tali per essere considerati documenti informatici, in quanto privi di “riferimento temporale” e di “sottoscrizione elettronica”.
Tali documenti, pertanto, sono da qualificarsi, sotto il profilo giuridico, come documenti analogici. In proposito, la risoluzione n. 158/E del 2009 precisa che “ciò comporta che un siffatto documento, carente dei requisiti per essere considerato fin dalla sua origine come un documento informatico, dovrà essere materializzato su un supporto fisico per essere considerato giuridicamente rilevante ai fini delle disposizioni tributarie”.
La successiva conservazione dei medesimi potrà avvenire nel rispetto delle prescrizioni dell’art. 4 del D.M. 23 gennaio 2004. A tale proposito, si rinvia a quanto precisato con la risoluzione n. 158 del 2009 citata secondo la quale “è necessaria la memorizzazione della relativa immagine direttamente su supporti ottici, eventualmente anche della relativa impronta, e termina con l’apposizione, sull’insieme dei documenti o su una evidenza informatica contenente una o più impronte dei documenti o di insiemi di essi, del riferimento temporale e della firma digitale da parte del responsabile della conservazione che attesta così il corretto svolgimento del processo”.
La risoluzione precisa inoltre che, per l’acquisizione dell’immagine, le disposizioni normative non prevedono delle specifiche modalità, pertanto la stessa deve considerarsi libera. Tuttavia, è essenziale che ne venga garantita la leggibilità nel tempo e che l’immagine così acquisita rispecchi in maniera fedele, corretta e veritiera il contenuto rappresentativo del documento. In ogni caso, il supporto fisico andrà conservato per essere esibito a richiesta degli organi accertatori, fino al completamento del processo di conservazione sostitutiva.
L’agenzia precisa inoltre che i predetti documenti – da cui si ribadisce deve risultare che vi è stata la c.d. movimentazione fisica della merce, che deve aver raggiunto un altro Stato membro – sono idonei a fornire prova della cessione intracomunitaria se conservati congiuntamente alle fatture di vendita, alla documentazione bancaria attestante le somme riscosse in relazione alle predette cessioni, alla documentazione relativa agli impegni contrattuali assunti e agli elenchi Intrastat (cfr. ris. n. 345 del 2007).
Per quanto riguarda più in particolare gli obblighi di conservazione ed esibizione delle prove, a seguito di eventuale richiesta di controllo dell’Amministrazione, si fa presente quanto segue.
La Corte di Giustizia, nella sentenza in causa C-146/05, ha chiarito che la prova dell’avvenuta cessione intracomunitaria può essere prodotta anche in un momento successivo all’operazione. In tale causa la Corte ha giustificato la propria decisione poiché, successivamente all’esecuzione della cessione, erano emersi fatti non conosciuti al fornitore che avevano giustificato una rettifica delle sue scritture contabili (vedi sentenza citata, punti da 28 a 33).
Quanto precede, ovviamente, non esclude che il fornitore debba acquisire e conservare i mezzi di prova con l’ordinaria diligenza. L’Amministrazione può quindi esigere che il fornitore adotti tutte le misure necessarie per evitare di partecipare ad una frode fiscale (sentenza in causa C-409/04, punti 65-66).
Analogamente, viene osservato che l’art. 39 del D.P.R. n. 633 del 1972, che disciplina la tenuta della scritture contabili, richiama l’art. 2219 del codice civile, ove è stabilito il principio di “ordinata contabilità”.
Allegati: Agenzia Entrate – 2013 – Risoluzione – 19E – 25032013