Con sentenza della prima sezione dell’8 novembre 2012 (Causa C-165/11), la Corte di Giustizia dell’UE fornisce una lettura combinata degli articoli 3, paragrafo 3, 37, paragrafo 2, 79, 84, 98, 114 e 166 del codice doganale comunitario (Reg. 2913/92), nonché degli articoli 2, 3, 5, paragrafo 1, 7, 10, 16 e 33 bis, della sesta direttiva IVA (Direttiva 77/388/CEE del 17 maggio 1977), e dell’articolo 1, punto 7, delle disposizioni d’applicazione del Codice Doganale Comunitario (Reg. 2454/93). La vicenda trattata riguardava il caso di merci collocate, a seguito della loro importazione da uno Stato terzo, in un deposito doganale pubblico in uno Stato membro dell’UE, per essere ivi trasformate in regime di perfezionamento attivo nella forma del sistema della sospensione ed infine cedute in quello stesso deposito – senza immissione in libera pratica – dal soggetto che le ha trasformate ad un’altra società di tale medesimo Stato membro, e ricollocate in regime di deposito doganale.
La Corte precisa che qualora merci provenienti da un paese terzo siano state vincolate al regime di deposito doganale in uno Stato membro, e poi successivamente trasformate in regime di perfezionamento attivo nella forma del sistema della sospensione e vendute e vincolate nuovamente al regime di deposito doganale, rimanendo per la durata dell’insieme di tali operazioni nel medesimo deposito doganale sito nel territorio di tale Stato membro, la vendita di siffatte merci è soggetta all’imposta sul valore aggiunto, salvo che il suddetto Stato membro non si sia avvalso della facoltà, ad esso riconosciuta, di esentare tale cessione dall’imposta ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della settima direttiva IVA, aspetto questo che deve essere verificato dal giudice nazionale.
In sostanza, agli effetti dell’Iva, i depositi doganali non sono luoghi extraterritoriali, ma appartengono al territorio dello stato membro nel quale si trovano. Di conseguenza, le cessioni di beni vincolati a tale regime rientrano nel campo di applicazione IVA anche se possono essere esentate facoltativamente dalla normativa nazionale. Nel caso di specie, i beni in questione erano stati importati dall’Ucraina da una società, che li aveva introdotti in Slovacchia in un deposito doganale pubblico, vincolandoli al regime doganale di deposito, quindi ceduti a un’altra società che li aveva a sua volta vincolati al regime sospensivo del perfezionamento attivo per la lavorazione e la successiva riesportazione. Ultimata la trasformazione dei beni, quest’ultima società li vincolava nuovamente al regime di deposito doganale e, anziché riesportarli, li vendeva senza applicare l’IVA, ritenendo che la cessione non fosse soggetta all’imposta per mancanza del requisito territoriale.
L’amministrazione notificava però l’accertamento sul presupposto che l’imposta fosse dovuta in quanto la vendita costituiva una cessione di beni effettuata sul territorio slovacco. L’autorità giudiziaria, adita dall’impresa interessata, rilevato che i beni introdotti in Slovacchia non erano mai stati svincolati dal regime doganale sospensivo, decideva tuttavia di sottoporre alla Corte di giustizia alcune questioni pregiudiziali sull’interpretazione della direttiva IVA, volte a sapere se, nella situazione descritta, la vendita dei beni sia soggetta all’Iva e quale sia il fatto generatore dell’imposta. Nella sentenza in esame, la Corte chiarisce anzitutto che, poiché le merci non erano ancora svincolate dai regimi sospensivi (deposito doganale e perfezionamento attivo) al momento della vendita, benché materialmente introdotte nel territorio dell’Ue, non formavano oggetto di un’importazione ai fini Iva, per cui non si doveva ritenere verificato il fatto generatore dell’Iva ricollegato all’importazione. Quanto al fatto se la vendita dei beni costituisca o meno una cessione a titolo oneroso effettuata nel territorio dello stato, la Corte afferma che il luogo della cessione, secondo le disposizioni della direttiva, è quello in cui i beni si trovavano al momento della vendita (ossia il deposito doganale situato in Slovacchia). In merito alla questione se un deposito doganale situato in uno stato membro si consideri territorio dello stato agli effetti dell’Iva, la Corte osserva che nessuna disposizione della direttiva IVA e del Trattato prevede l’extraterritorialità dei depositi doganali, per cui tali luoghi devono considerarsi rientranti nel territorio dello stato in cui si trovano. Di conseguenza, la cessione dei beni vincolati al regime del deposito doganale, anche se non ancora importati, è soggetta all’Iva, poiché il fatto generatore dell’imposta si verifica nel momento in cui avviene la cessione dei beni. In conclusione, la cessione di beni che si trovano nel deposito doganale è rilevante agli effetti dell’imposta, ferma restando la facoltà dello stato membro di accordare a tale cessione il trattamento di esenzione che la direttiva consente di concedere a talune operazioni aventi ad oggetto beni assoggettati a regimi doganali sospensivi; tale circostanza dipende quindi dalle disposizioni interne e dovrà essere accertata dai giudici nazionali.
Allegati: Corte – 2013 – Causa C165_11 – Domanda di pronuncia -4.04.2011 , Corte – 2013 – Causa C165_11 – Sentenza – 8.11.2012